In una nota a piè di pagina di Morfologia e clinamen, il secondo volume che Marika Piva dedica all’autrice francese Chloé Delaume, si legge che «la bibliografia critica sulla scrittrice [è] ormai nutritissima» (p. 14). Il nitore di una simile fotografia non può che stonare col fatto che in Italia le sue opere principali restano ancora inedite, nonostante la loro innegabile centralità per almeno tre corposi filoni di studio della letteratura contemporanea – l’autofiction, il femminismo e la transmedialità.
Nel tentativo di iniziare a colmare questo vuoto, il saggio di Piva segue una strada diversa rispetto al precedente Nimphæa in fabula (2012, in francese): non si tratta infatti di una monografia complessiva sulla figura di Delaume, bensì, in maniera quasi mimetica rispetto all’autrice studiata, di uno strano oggetto critico la cui originalità risiede nell’approccio e nella dispositio («ceci n’est pas un essai» è il titolo parlante di uno dei paragrafi introduttivi).
La scelta rivendicata della parzialità e della «marginalità come modalità d’accesso» (p. 14) all’opera della scrittrice porta infatti a soffermarsi su un unico suo brevissimo testo, Chanson de geste & Opinions (2007), la cui traduzione italiana completa il volume di Piva. Si tratta di un componimento d’occasione dedicato alla ricerca, da parte di un eterogeneo gruppo di personaggi finzionali ripresi da Queneau e dall’immaginario medievale, dell’essenza del gesto artistico del pittore francese Pascal Pinaud.
Attraverso l’analisi di questo case study apparentemente infimo, due in particolare sono i nodi concettuali di fondo che vengono convocati. Quello trattato nei primi due capitoli dà anche il titolo al volume: l’inesausta e produttiva dialettica tra morfologia e clinamen. Tale coppia di nozioni rimanda al meccanismo stesso della creazione letteraria, nella quale una struttura (la “morfologia” della fiaba di Propp, appunto, con la capillare rigidità delle sue trentuno funzioni narrative) innerva un testo che continuamente scarta rispetto alle regole imposte, aprendo delle falle all’interno di uno schema del quale ci si prende gioco ma che resta al tempo stesso necessario.
Reso celebre da diversi romanzi di Georges Perec, nel testo di Delaume tale gioco con le contraintes è visibile nell’adozione di una partizione in dieci capitoli titolati che si rifà alla struttura tradizionale della fiaba, e che tuttavia viene disattesa dalla vuotezza semantica dei titoli stessi (composti da avverbi e particelle che non danno indicazioni sugli eventi raccontati e mettono in crisi la linearità cronologica dell’intreccio) e soprattutto dall’assenza dell’ottavo capitolo, il quale si configura come una sorta di centro vuoto e dislocato. In queste infrazioni rispetto alle attese consiste l’atto del clinamen, valorizzato come fertile disordine linguistico e compositivo capace di scombinare e ricombinare i materiali esistenti, figura della «libertà soggettiva» (p. 34) dell’atto creativo.
Il secondo polo è quello della transfinzionalità, concetto ripreso da Richard Saint-Gelais che rende conto del quoziente di autonomia del materiale finzionale trasferibile da un testo all’altro (pp. 15-16). Dal terzo al quinto capitolo si esaminano così alcuni dei più vistosi ipotesti e intertesti dell’opera di Delaume: i romanzi cavallereschi medievali, le opere di Alfred Jarry e Pascal Pinaud. Non si tratta di modelli cui attenersi bensì di materiali dei quali disporre, sottoponendoli all’impatto con una soggettività autoriale che, «manipolandoli, li rende qualcosa di inedito» (p. 92).
Lungi dall’essere un inerte contenitore di istanze esterne, Chanson de geste & Opinions è piuttosto il centro incandescente, il marchingegno temporale in cui più linee narrative si incontrano e si congiungono in maniera inedita: combinando «elementi che rinviano a diversi universi narrativi», la sua realtà «risulta intrisa e inseparabile dall’interdiscorso […] e dalla transfinzionalità» (p. 104).
La ricognizione svolta da Piva, interessata a mostrare le affinità tra Delaume e gli autori citati e a ribadire al contempo la produttività della loro frizione reciproca (pp. 124-126), mostra come il testo sia realmente un tessuto di fili, ognuno dei quali può essere seguito e dipanato in maniera capillare dal lettore. Tramite questo esercizio di espansione ed esplosione del minimo indizio testuale, l’opera diventa rimando potenzialmente infinito, dando corpo e spessore alla sentenza spesso banalizzata di Julia Kristeva secondo cui ogni testo è un mosaico di citazioni.
Grazie alla sua natura rizomatica e temporalesca (pp. 200-205), il testo di Delaume è insomma un crogiuolo in nuce di letture possibili: a riprova anche tangibile di ciò, sta il fatto che una fiction di venti pagine abbia generato un saggio di duecento – il quale oltretutto avrebbe potuto prolungarsi ancora, a piacimento, continuando a sfogliare nell’enciclopedia stratificata che è sottesa a ogni elemento, a ogni parola.
Recensione di Giovanni Salvagnini Zanazzo
Marika Piva, Chloé Delaume: morfologia e clinamen. Letture incrociate di Chanson de geste & Opinions, 2024, DeriveApprodi, pp. 286, ISBN: 978-88-6548-588-0
