“E la tua materia/energia, mente e corpo, trova conforto quasi solo come corpo. Nel movimento, nel calore. Così, credi, è anche per gli altri, ma non lo dicono, non a voce alta. E la voce, la parola, può qualcosa? Quanto pertiene anche questa parola – la poesia – al movimento, al calore?”

Rivolgendosi direttamente al lettore e adottando una scrittura che spezza il tono saggistico, attraverso intermezzi narrativo-favolistici e persino scene quotidiane, Laura Pugno tira le somme di una riflessione che conduceva ormai da anni. Nata a Roma nel 1970, ha alle spalle una prolifica produzione di poesie e romanzi. Nelle sue opere più note – Sirene (2017) e La ragazza selvaggia (2016, Premio Campiello Selezione) – i personaggi sono già sinopia (ovvero, come negli affreschi, bozza da seguire e prefigurazione) della filosofia qui espressa con lucidità e intelligenza critica. In L’oltre. Poesia, Terzo paesaggio, Terza natura?, Pugno traccia un fil rouge di analogie per indagare la funzione della poesia nell’Antropocene, muovendosi tra antropologia, paesaggistica e metafisica e facendo riferimento a colleghi e studiosi di diverse discipline.

L’autrice, che sembra confondere inesorabilmente i piani del sogno e della realtà, affida alla parola poetica il compito di restituire un senso agli spazi che lo hanno perduto. Oggi, in un mondo in cui l’uomo ha sopraffatto l’ambiente, moltiplicando i “non-luoghi”, si assiste a una progressiva perdita di significati e a un tentativo di forgiare un “antropos” ideale che, però, ha ben poco di umano: si sta, infatti, estinguendo la componente istintiva che permea ogni creatura. Da qui l’auspicio di una nuova compenetrazione tra umano e animale – un campo semantico tipico di Pugno, che ricorre a termini come carne, pelle, liquidi corporei, morte – e di un ritorno del represso che, dal citato Monbiot, viene chiamato “rewilding” e «significa resistere alla pulsione di controllare la natura». La poesia crea un ambiente metamorfico e un nuovo senso di comunità, una “Mentepaesaggio” sincretica – summa dei sogni di tutti gli individui, che si riscoprono mossi dallo stesso animo – e che è sia sintomo che soluzione per un tempo che «diventa frastagliato, potrebbe interrompersi, addirittura cancellarsi». 

Richiamandosi agli studi sui miceli di Anna Tsing, l’autrice suggerisce che dal deterioramento del mondo nasca l’urgenza di cercare una nuova casa nella poesia. Le parole sono capaci di delineare nuovi mondi e di «creare armonia con il demoniaco»: così non si cerca più di addomesticare il ferino, reale e irreale tornano a esistere insieme, affiancati e non contemporanei, come nell’entrelacement della fiaba, in cui magico e tangibile convivono in attimi diversi. Lo scrivere, azione quanto mai vicina all’astrazione, si rivela allora linfa spontanea, in perfetta comunione con il sentire della natura.

Dopotutto, come ricorda Pugno, riportando quanto dice Morton sul concetto di “agrilogistica”, l’uomo aveva tentato di razionalizzare il naturale, già attraverso l’agricoltura, mosso da un senso di superiorità. Un’illusione, poiché dal testo emerge che l’intelligenza – intesa come capacità di istituire connessioni e immaginare simboli – non appartiene solo all’umano, ma si manifesta anche in funghi e giaguari. Tutto è permeato dal senso dell’ignoto e della mancanza, non in modo diverso da come, in Sirene, la mezzoalbina si rispecchia nell’angoscia del diverso Samuel: nessuno dei due sa dare spiegazioni in merito alla pulsione istintiva che li lega, ma la vivono naturalmente. 

Pugno scrive attraverso associazioni istintive, trasformando il suo stesso saggio in poesia, mediante un uso ardito dell’analogia, che supera gli argomenti trattati per restituire loro una logica coerente. A ogni conclusione scientifica e collegamento interdisciplinare, segue un flusso di coscienza, che rende il lettore partecipe del processo creativo-argomentativo della “poeta”: 

Siamo in quanto siamo stati, ci dissolviamo in altro / altri. Non c’è nulla di mistico […]: il non ancora immaginato, il non ancora pensato, immanente in quello che è. Nel tu che sei.

La consapevolezza di condividere con ogni altra cosa una condizione di coscienza simbiotica e sotterranea nasce dall’impressione di dover dare un senso alla morte che incombe. L’uomo si rivela creatura caduca, non distante dagli animali, immersa nel qui e ora, anche quando la tecnologia sembra suggerire un illusorio distacco dalla natura.

 

Recensione di Letizia Simioni

Laura Pugno,  L’oltre. Poesia, Terzo paesaggio, Terza natura?,  2025,  Il Saggiatore,  pp. 96,  ISBN: 9788842834373