“È qui che riposo, qui che sono venuto apposta per ricordare tutto quello, risentirlo come quando ero bambino. È allora che avrei dovuto uccidere quell’individuo. Mentre dormiva. Fracassargli qualcosa sulla testa e continuare a colpire finché fosse stato necessario. Per liberare mia madre, restituirle il gusto della vita. Io che non rischiavo niente. Non si ghigliottinano più i bambini. Non s’imprigionano più i bambini. Li si rimprovera, li si ammonisce, li si castiga. Alla peggio li si sottopone ad un obbligo di cure. E niente di più.”
Prontamente tradotto da Ponte alle Grazie, L’origine delle lacrime è il terzo romanzo pubblicato in Italia del pluripremiato autore francese Jean-Paul Dubois. Con una scrittura al contempo brillante e scorrevole, il libro riprende il modulo della narrazione finzionale retrospettiva già sperimentato in testi precedenti, quali Una vita francese (2006) e Non stiamo tutti al mondo nello stesso modo (2020).
Fin dalla prima pagina, siamo calati in medias res di fronte all’atto apparentemente insensato e terribile del protagonista Paul, che racconta in prima persona di aver sparato al corpo già morto del padre. In seguito egli ripercorre la propria intera vita, principalmente tramite l’espediente narrativo degli incontri di psicoterapia, ordinati dal tribunale, con il dottor Guzman. Con quest’ultimo Paul sviluppa un rapporto estremamente intimo, che a tratti sembra oltrepassare i confini medico-paziente. Con una chiarezza che va anche contro la sua etica professionale, il terapeuta gli confida che, alla luce degli atteggiamenti del padre Lansky, non solo comprende, ma anche giustifica il suo gesto.
La copertina, fedele all’originale, richiama il fil rouge dell’acqua che, in varie declinazioni, attraversa tutto il testo. Tale elemento, infatti, ha anzitutto un valore psicologico: simboleggia non solo il dolore e la sofferenza in cui il protagonista afferma di essere immerso fin dalla nascita, ma anche, attraverso l’esempio del pittore coreano Kim Tschang-Yeul, un tentativo di espiazione, di portare cioè fuori da sé le emozioni altrimenti incagliate nell’animo. Nel finale l’acqua diventa anche un ambiguo simbolo di speranza, di nuovo inizio, quando il protagonista fantastica di immergersi in mare per verificare quanto sia profondo il suo desiderio di continuare a vivere. L’acqua ha infine un valore di denuncia, dal momento che porta a galla il tema dell’ecologia: nel romanzo, ambientato nel 2031, la crisi climatica sta distruggendo il pianeta, sommerso da piogge incessanti.
La storia del protagonista è strettamente connessa con quella della sua famiglia: in particolare si percepisce un legame indissolubile con la madre biologica e il fratello gemello, morti alla sua nascita, di cui Paul sentirà la mancanza per tutta la vita, dichiarando a tal proposito: «Ogni mio singolo compleanno commemora la morte di Marta e di mio fratello. Lì è l’origine delle lacrime, in fondo al grembo di mia madre». L’assenza tanto sofferta del gemello riporta al tema del doppio: il fratello diventa per Paul un “sé stesso forte”, un sé stesso felice, scomparso alla nascita e quindi impossibilitato ad essere. Il decesso della madre biologica, già di per sé tragico, viene aggravato dall’atteggiamento maligno del padre, personaggio descritto come malvagio e sadico. La sua nuova compagna, pur dipendente emotivamente da lui, è l’unica figura positiva per Paul, che la considera come una madre, sebbene sia lei che gli lascia in eredità la ditta funeraria Stramentum, aggiungendo morte alla sua vita.
Queste esperienze familiari lo influenzano, impedendogli la socialità e l’amore; lui stesso considera la propria esistenza in maniera deterministica e vede un solo ed unico percorso possibile in seguito agli eventi del passato, sentendosi intrappolato in una forma predefinita. Malgrado niente lasci supporre in lui tracce di perfidia, né a Guzman né al lettore, il timore più grande di Paul è di somigliare al padre, di avere dentro di sé una crudeltà pari alla sua – una paura che ha una sua ragion d’essere solo da un punto di vista biologico, dal momento che i due condividono gli stessi geni.
Avendo difficoltà a socializzare con gli esseri umani Paul paga un abbonamento per fare in modo che l’intelligenza artificiale con cui dialoga tenga memoria delle conversazioni pregresse, diventando il suo unico amico. Questo tema, già molto attuale e dibattuto in seguito alla diffusione di ChatGPT e di altre IA, offre nel libro lo spunto per riflettere sulla dialettica imitazione/autenticità e sulla tendenza ad utilizzare, a torto, questi strumenti come surrogati di amici e psicologi, in virtù della loro empatia simulata.
La conclusione del romanzo coincide con quella dell’anno di terapia di Paul. Quest’ultima sembra giungere in un momento poco opportuno, nonostante l’opinione contraria del dottor Guzman, poiché nel corso dei mesi il protagonista, obbligato ad esternare tutto il dolore vissuto, si è reso conto di quanto gravosa sia stata la sua esistenza, ma è giunto soltanto al punto di analizzare il male patito: il rischio è che, lasciato solo, non riesca a intraprendere un percorso positivo in autonomia, ma venga anzi sopraffatto dalla negatività, affogandoci.
L’origine delle lacrime, in definitiva, propone un confronto con i lati oscuri della psiche e con il peso dei retaggi familiari, «a cominciare dall’intimità del disastro originale. Quello di un bimbo nato da una madre morta».
Recensione di Eleonora Sacchetto
Jean-Paul Dubois, L’origine delle lacrime, traduzione dal francese di Francesco Bruno, 2025, Ponte alle Grazie, pp. 220, ISBN: 979-12-5582-125-0
